Sono terminati da poco, in varie città d’Italia e del mondo, i cosiddetti “gay pride”, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha dato il via libera ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, la Comunione anglicana ha recentemente vissuto momenti molto difficili per la discussione riguardante la possibilità di diventare vescovi a persone omosessuali conviventi: insomma, si parla molto di questo tema, anche nella Chiesa Cattolica.
Mi è venuto in mente, infatti, un articolo del nostro Settimanale diocesano, risalente ormai all’11 maggio scorso, articolo nel quale il Direttore indirizzava una sorta di lettera ad un letterario “amico gay”. Ad un certo punto si diceva, in un crescendo di comprensione e di com-passione: “C’è una secolare, odiosa discriminazione a cui bisogna mettere fine… Quel triangolo rosa, che ti contrassegnava nei lager nazisti, lo portiamo tatuato nella nostra cattiva coscienza. E’ ora di dire basta. E’ ingiusto che una persona, a causa di questa sua tendenza, sia penalizzata nel suo percorso professionale o emarginata tra i fumi dello spogliatoio di una squadra di calcio o sfavorita nelle graduatorie delle accademie militari”. Tutte cose vere ed esecrabili, ma, per onestà e coerenza, mi sarei aspettato anche qualcosa del tipo: “è ingiusto che una persona, per questa sua tendenza, sia espulsa dai Seminari e non possa ricevere il Sacramento dell’Ordine”. Già, perché forse non tutti sanno che il 4 novembre 2005 la Congregazione per l’Educazione cattolica pubblica un’Istruzione (approvata dal Papa Benedetto XVI in data 31/8/2005) sui criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al seminario e agli Ordini Sacri. Rimandando all’interessantissima lettura del Documento, mi limito a riportarne poche righe, tratte dal n. 2. “Questo dicastero, d’intesa con la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei Sacramenti, ritiene necessario affermare chiaramente che la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone omosessuali, non può ammettere al seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta “cultura gay”. Le suddette persone si trovano, infatti, in una situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne”. Che dire? Mi sembra abbastanza chiaro! E mi chiedo come mai dal Direttore del Settimanale (tra l’altro, professore di morale) non sia stata citata la Chiesa accanto agli spogliatoi fumosi e alle accademie militari. Mi sono dato alcune risposte: la Chiesa è citata per prima, in modo velato, quando si parla delle penalizzazioni nel percorso professionale; la Chiesa non è citata per non rischiare una similitudine con il triangolo rosa dei nazisti; la Chiesa non è citata perché noi preti siamo sempre in prima linea a sottolineare le malefatte degli altri, ma quando si tratta delle nostre “un bel tacer…”; la Chiesa non è citata per dimenticanza; la Chiesa non è citata perché l’Autore dell’articolo non ne condivide la posizione; la Chiesa non è citata perché nel frattempo ha cambiato idea, a mia insaputa.
Quest’ultima ipotesi ha preso corpo quando ho letto, sul mensile Jesus di maggio e giugno, le dichiarazioni di diversi Vescovi e Cardinali, tra i quali Schonborn, McCarrick e Danneels, che si pronunciano a favore di una regolamentazione, da parte dello Stato, delle unioni tra persone dello stesso sesso. Oibò! Non ci capisco più nulla! Tanto più che tra questi illustri prelati c’è anche monsignor Vincenzo Paglia, Presidente del Pontificio Consiglio della famiglia. Che sia l’azione della lobby gay, la cui presenza in Vaticano è stata ufficializzata dallo stesso papa Francesco? Ai posteri l’ardua sentenza. Io mi limito a rimanere sconcertato davanti alla confusione che si crea nei fedeli con articoli e dichiarazioni forse non sempre meditati. Quando si vuole apparire progressisti a tutti i costi non sempre la Chiesa ci guadagna e si rischia di essere esposti “ad ogni vento di dottrina”. Dico questo con un grande rispetto per le tante persone omosessuali che conosco e per le loro sofferenze. A loro non giovano né i sofismi né le distrazioni.
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