“Buone vacanze”, “Finite le vacanze?”, “Andate bene, le vacanze?”. Queste sono le frasi più ricorrenti che mi sento dire prima e dopo i campi estivi per i ragazzi della Parrocchia. Dando per scontata la buona fede di chi le pronuncia e sforzandomi di vedervi un interessamento gentile, non posso fare a meno di pensare alla percezione che si ha, all’interno di una Comunità parrocchiale, della proposta dei campi estivi. E, senza metterla giù troppo dura, di quale percezione si abbia del prete. Cominciamo da qui.
Ho l’impressione che molti vedano nel prete un organizzatore di “eventi”, una specie di animatore sociale che impegna la sua vita in iniziative volte a favorire lo svago e il relax dei parrocchiani di qualunque età. Ecco dunque che pellegrinaggi, campi estivi, Grest vengono visti come attività di ricreazione, di divertimento, di vacanza, appunto. Certo, devo ammettere che qualche prete può suscitare l’impressione di essere una succursale di un’agenzia di viaggi, ma io continuo a ritenere giustissime le parole di Papa Francesco quando ha invitato a non pensare alla Chiesa come ad una grande ONLUS, un’agenzia erogatrice di servizi sociali in nome di un vago filantropismo. Continuo a ritenere di essere diventato prete non per organizzare vacanze, ma per offrire ai ragazzi, agli adolescenti e ai giovani momenti di formazione umana e cristiana di alto livello. Per questo mi piace che al campo estivo siano presenti gli educatori dei ragazzi, cioè i catechisti che nel corso dell’anno ne hanno curato la formazione. Il campo estivo, così, non si risolve in una serie di escursioni da stigmate ai piedi, ma è fatto di riflessione, di condivisione, di servizio reciproco e anche di gioco, certo, che tende però a scomparire con l’aumento dell’età dei ragazzi.
Dal punto di vista educativo il campo estivo è il fiore all’occhiello della Parrocchia, è un momento privilegiato dove lasciare spazio anche al silenzio, alla preghiera, alla Confessione, alla celebrazione quotidiana dell’Eucaristia, dove il prete e gli educatori possono fare un lavoro formativo molto più mirato, dal momento che vivono per otto giorni con i ragazzi. La preparazione del campo estivo non deve lasciare nulla al caso (anche se poi sarà il Signore a metterci lo zampino, per ricavarci quello che Lui vuole) e deve prevedere la preghiera intensa della Comunità, che sostiene e potenzia l’opera di chi è in prima linea. Potrei continuare, ma mi sembra di aver reso un’idea sufficientemente precisa di quanto il campo estivo sia lontano dalla vacanza in colonia. E mi piace constatare che i genitori hanno ben chiara questa distinzione. A dir la verità, ormai anche i ragazzi l’hanno acquisita e vedono il campo come un momento molto impegnativo.
Ogni tanto mi chiedo che cosa li spinga a continuare a venire. Che abbia ragione qualche prete che ritiene che solo chiedendo tanto si può ottenere tanto? Qualche volta mi viene il sospetto che noi adulti sottovalutiamo tragicamente i ragazzi, li facciamo crescere come amebe, senza mai chiedere nulla di veramente difficile, abituandoli ad avere tutti i diritti e nessun dovere. Forse siamo schiavi di un’eccessiva ricerca dell’approvazione e della popolarità, a costo di non dire mai “no” e di abbassare troppo gli ideali.
“Buona vacanza”, dunque, non ditelo più, quando si parte per un campo estivo!
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