Chissà perché, ma le cifre tonde fanno un po’ impressione. E così compiere cinquant’anni è diverso dal compierne quarantanove. Anche se qualcuno sostiene che si sia arrivati “nel mezzo del cammin di nostra vita” io credo che si possa parlare di due terzi, più che di metà. Pensieri assurdi anche questi, perché in ogni momento, anche adesso, si può essere chiamati a rendere conto del bene e del male compiuti in questa vita. Fare bilanci onesti e veritieri non è mai facile, però è molto utile. Guardare in faccia il tempo che passa, veloce ed inesorabile, scoprendo i segni che lascia nel nostro corpo e nella nostra mente è il rimedio più efficace contro l’orgoglio e l’egoismo. Certo, in una persona narcisista il verificare questi segni può essere sconvolgente. Se poi il narcisismo nascondeva, come spesso capita, una insicurezza di fondo, una scarsa accoglienza di sé e una disistima così accentuata da apparire eccessiva autostima, allora lo scorrere del tempo diventa una realtà da combattere con tutte le forze (sempre più residue!). Si arriva così ai vari “rifacimenti” di quelle parti del corpo più soggette a decadenza visibile, a cure con sostanze che sostengano la memoria, a qualche “aiutino” che possa far sentire ancora “maschi”… Come sarebbe bello e pacificante accogliere ogni età per quello che è e per quello che può dare. D’altronde essere in pace con sé stessi, in equilibrata armonia con gli altri e con il creato intero è il miraggio inseguito da molti e fatto diventare realtà da pochi. Se pensiamo alla nostra vita quotidiana ci ritroviamo in una continua corsa, spesso per inseguire il nulla. Le cose da fare prendono il sopravvento e non si trova mai il tempo di fermarsi per dare un senso alle mille corse. Ricordo una definizione di Buriani, tanti anni fa centrocampista del Milan, data dal mitico Gianni Brera: “Non si può pretendere che costruisca gioco. Corre e basta. Infatti lo pagano a chilometri”. Ogni tanto ho l’impressione che molti corrano a vuoto in quel grande campo da gioco che è la vita, incapaci di costruire, anzi spesso protagonisti nel demolire, nel dare un pessimo esempio a chi guarda la partita e vorrebbe anche giocarla. Chissà se il Signore ci pagherà a chilometri o terrà conto anche di altro.
Dovremmo provare a farci questa domanda: “per chi, per che cosa sto spendendo la mia vita?”. La risposta non è scontata, se data onestamente. Magari si scoprirebbe che dietro una motivazione (la famiglia, il lavoro, il benessere di tutti, il miglioramento della società…) ce n’è un’altra, forse un po’ meno nobile (in genere: “la mia gratificazione, il mio sentirmi appagato”, quando non “il mio istinto di dominio e di possesso, il mio bisogno di essere al centro dell’attenzione, il mio desiderio di essere insostituibile…”). La cosa bella, comunque, è pensare che abbiamo sempre margini di miglioramento, che possiamo non fermarci alle diagnosi, ma abbiamo la possibilità di attuare le terapie, partendo dal presupposto che nessuno di noi è perfetto, ma che la stessa perfezione del Padre ci viene indicata da Gesù come obiettivo della nostra vita (cfr. Mt 5,48). Allora lo scorrere del tempo non fa più paura, ma diventa stimolo ad operare per conseguire e diffondere il bene senza indugi, senza pause inutili, nella consapevolezza che ogni istante della vita è dono gratuito che gratuitamente dobbiamo regalare. Uno sguardo nuovo su noi stessi, sugli altri e sul mondo intero è quello che dovremmo chiedere ogni giorno al Signore. Uno sguardo che ci permetta di cogliere ed apprezzare le Sue meraviglie, operanti soprattutto negli uomini e nelle donne che ci circondano. Sguardo che ci permetta di vedere il male per starne lontani e il bene per accoglierlo e propagarlo. In fondo è lo stesso sguardo di Gesù, che ha continuamente rimproverato i Farisei per la loro ipocrisia e i discepoli per la loro durezza di cuore, ma che ha sempre accolto il peccatore per incitarlo a cambiare vita (perché comunque il peccato non è mai una cosa bella e il dimorarci tranquillamente non è il massimo della vita!).
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