La notizia ha dell’incredibile: qualche giorno fa è stato arrestato padre Renato Salvatore, superiore generale dei Camilliani. La sensazionalità non sta, ovviamente, nell’arresto di un prete (fatto purtroppo non fuori dal comune), ma nella motivazione: sequestro di persona! Sembra, infatti, che il nostro abbia fatto sequestrare con la complicità di due Guardie di Finanza e di un faccendiere, due suoi confratelli per impedire che votassero a favore del suo concorrente nell’elezione del Superiore generale della Congregazione. Nutro qualche dubbio sulla motivazione finale (i Camilliani gestiscono tanti ospedali con un giro notevole di soldi), ma comunque mi sono venuti in mente i tanti interventi del Papa, soprattutto durante le Messe a Santa Marta, riguardanti la piaga del carrierismo all’interno della Chiesa. E con la parola “Chiesa” intendo proprio tutte le componenti del Popolo di Dio e non solo la gerarchia ecclesiastica. Certo, tra noi preti ci sono veri e propri professionisti di questa specialità. Pochi comunque, ma significativi. La cosa peggiore, però, non è costituita dai singoli, ma da una certa mentalità, che fa pensare che un Vicario generale non possa tornare a fare il Parroco, anche se è giovane, e debba automaticamente diventare Vescovo, anche se non ha dato prova di grandi capacità di “governo”. Così come è difficile pensare che il Parroco di una Parrocchia “importante” venga trasferito in una meno importante, anche se ha svolto molto bene il suo lavoro. Tempo fa un confratello che ha vissuto questa esperienza mi diceva di aver ricevuto diverse telefonate di preti che gli chiedevano “che cosa hai combinato?”. Tanto è radicata la mentalità della promozione, legata a quella della punizione.
Purtroppo questo modo di pensare non è solo del clero. Ogni tanto capita di trovare anche qualche laico/a che vive il proprio servizio nella Parrocchia o in altri ambiti come un incarico di prestigio, dal quale non ci si deve mai staccare. Come sarebbe bello avere la capacità di dare le dimissioni. Sarebbe davvero un bel segno, in un Paese dove non le dà mai nessuno. E dimissioni gratuite, non compensate da mirabolanti “liquidazioni” e da titoli onorifici. Certo, non è facile, perché questo ci riporta ad uno degli aspetti più ardui dell’essere discepoli di Gesù: la gratuità. La frase evangelica che invita a ritenersi “servi inutili” non ha sempre una grande presa nella nostra vita. Ci viene ogni tanto la tentazione di ritenerci indispensabili, di pensare che senza di noi quel gruppo, quella parrocchia, quella Diocesi non andrà avanti o, comunque, andrà avanti peggio di quando c’eravamo noi. Sotto il carrierismo stanno l’orgoglio e il gusto per il potere, che sono molto più gravi della vanagloria di chi è contento di esibire una fascia purpurea o un qualche titolo sul bigliettino da visita. Sarebbe bello rendersi conto che Dio ci ama anche se non abbiamo titoli! D’altronde la ricerca dell’infelicità ci vede spesso impegnati con grande assiduità: inseguiamo sempre quel qualcosa in più che non ci permette di godere pienamente di quello che abbiamo. Siamo infelici perché lo vogliamo fortemente! E i carrieristi lo sono più di altri.
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