Da qualche anno si sente parlare, d’estate, di “caldo percepito”. Da quel che ho capito si tratta della temperatura esterna avvertita da noi (dall’organismo? Dalla psiche? Da entrambi?), più alta di quella reale. Siccome la stessa categoria è stata applicata qualche settimana fa, in occasione delle bufere gelide che hanno sconvolto gli Stati Uniti, anche al freddo, ho provato a mettere la parola “percepito” accanto ad altre, per vedere l’effetto che fa.
Ho iniziato con “amore percepito”. Sono partito da un dato che potrebbe apparire contraddittorio: nel Vangelo Gesù ci dà il “comandamento” dell’amore. Si può amare per comando? L’amore non è forse un sentimento? e quindi o c’è nel cuore o non esiste! Come posso obbligarmi ad avere un sentimento? Se non provo amore per questa persona (anzi, magari provo proprio avversione) che cosa devo fare? E qui entra in gioco il concetto di “amore percepito”. Penso a quanti hanno come elemento fondamentale della propria professione quello di accogliere, di far sentire gli altri rispettati, coccolati, importanti: negozianti, impiegati a contatto con il “pubblico”, camerieri. E poi, ancora, tutti coloro che operano nelle strutture sanitarie: quanto fa bene al paziente il sorriso di un medico, il gesto di attenzione delicata di un infermiere, la consapevolezza di non essere trattati come numeri. E che dire di quanti operano nel settore educativo? Gli insegnanti, i preti, i genitori stessi… Capita, purtroppo, di trovare in tutte queste categorie persone incapaci di manifestare dolcezza e benevolenza. Per tanti motivi: un fatto caratteriale, qualche preoccupazione o apprensione contingente, la stanchezza… Nell’altro, in chi subisce la mancanza di attenzione, di delicatezza, viene spontaneo pensare di non essere amato. Non “percepisce” amore. Il problema sta nel reale fulcro della nostra vita: chi è al centro? Io oppure gli altri? Se al centro ci sono io gli altri dovranno subire i miei desideri, le mie “spontaneità”, le mie lune. Se al centro ci sono gli altri riuscirò a passare oltre me stesso per dare quell’attenzione, quell’amore a cui l’altro ha diritto. Anche se in quel momento nel mio cuore amore non c’è. Chiediamoci: chi ci incontra, chi vive accanto a noi quanto amore percepisce? Guai se percepisse solo durezza, distacco, indifferenza, fastidio da parte nostra. Impariamo da chi deve essere attento e amorevole per “contratto”: se la commessa è così gentile con clienti che magari la stanno anche irritando perché coloro che hanno come “datore di lavoro” Cristo stesso (e cioè tutti i battezzati, ecclesiastici compresi) non possono essere gentili e attenti verso tutti (anche nemici e persecutori, direbbe il Vangelo)? Senza amare possiamo fare gesti d’amore. Lo comanda Gesù.
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