Una volta si chiamavano “benedizioni delle case”, poi si è passati a “benedizione delle famiglie” e con questa dicitura si tende a proseguire ancora oggi. Una tendenza che mi sembra ormai fuori luogo, pensando anche solo alla realtà della nostra Parrocchia. Se dovessi benedire solo le famiglie incontrerei sì e no la metà dei parrocchiani. Già, perché ci sono le persone che vivono sole, che non hanno mai avuto o non hanno più una persona accanto. Ci sono quelle che la dottrina cattolica non definisce “famiglie”, preferendo il termine “coppie di fatto”: dovrei evitare di suonare il loro campanello? Dovrei dire che la benedizione di Dio è per alcuni e non per altri? E’ solo per i bambini delle coppie regolari e non per quelli delle coppie irregolari? E poi ci sono tutti coloro che nel territorio della Parrocchia lavorano: negozi, uffici, studi professionali, officine vedono la presenza di decine di persone ben contente di ricevere la benedizione, ma propriamente non qualificabili come “famiglie”. Che dire, infine, degli animali? Ebbene sì. Nella mia ormai lunga vita sacerdotale mi è capitato spesso di benedire cani, gatti, conigli e anche qualcosa di più impegnativo tipo mucche, cavalli, pecore, capre e persino iguane. Animali che per qualcuno costituiscono l’unica compagnia e per altri sono fonte di sostentamento, ma che non rientrano nella nozione comune di “famiglia”. Quest’anno, dunque, sono in difficoltà a trovare il complemento di specificazione da unire a “benedizione”. Quasi quasi mi verrebbe da dire “benedizione della Parrocchia” intendendo quella realtà, umana e non solo, estremamente variegata e complessa che risiede, anche solo per qualche ora al giorno, in un determinato territorio.
Realtà, quindi, molto complessa, quella della Parrocchia. Realtà dove tante teste pensano e tanti cuori pulsano non sempre all’unisono e guai se non fosse così! Ho molto apprezzato il dibattito che si è svolto in questi giorni tra i parrocchiani di san Giuliano (e non solo) sulle note vicende. Dibattito che ha portato alla luce una grande vivacità e (come è giusto e sacrosanto!) una pluralità di posizioni e di opinioni. La diversità è sempre una ricchezza e chi esprime la propria opinione con il coraggio di metterci sotto nome e cognome è comunque degno di essere ascoltato ed apprezzato, anche se la pensa diversamente da me. Stiamo attenti a non confondere la Comunione, che è l’elemento fondante della Chiesa, con l’unanimismo, che è l’elemento fondante delle dittature. Stiamo attenti a parlare di “Demonio” quando c’è il rischio che un’opinione possa causare dibattito e anche qualche dispiacere: la divisione nasce quando si ha nell’animo acrimonia e rancore, non quando si manifesta la propria opinione. Il Demonio (e un po’ me ne intendo!) spesso si manifesta nelle tenebre silenziose, dove può lavorare con tranquillità, senza essere disturbato, scavando in sordina solchi profondi , che diventano vere e proprie voragini, se le sue trame non vengono portate alla luce. Il Demonio, contrariamente a quello che molti pensano, non è un esibizionista, non ama mostrarsi con evidenza perché il lavoro più proficuo lo svolge nel silenzio di chi vede e tace, di chi la pensa in un certo modo e non lo dice. Il problema non è mai l’opinione diversa dalla mia, ma l’opinione diversa dalla mia che viene taciuta o messa a tacere. Se Gesù avesse taciuto non sarebbe morto in croce e noi non avremmo conosciuto la misura dell’amore di Dio, se san Paolo avesse taciuto il Cristianesimo sarebbe ancora un sottogruppo ebraico, se qualche Vescovo avesse taciuto il Concilio Vaticano II sarebbe stato un bell’incontrino tra amici e non una svolta nella Chiesa. Sapere che qualcuno la pensa diversamente da me e propone soluzioni diverse dalle mie mi lascia magari nelle mie convinzioni, ma mi arricchisce perché mi ha aiutato a prendere in esame un altro aspetto della questione, mi ha regalato un’idea che a me non era venuta in mente.
Questa è la Chiesa che sogno: una Chiesa dove la Comunione non diventi appiattimento e l’unità non diventi un feticcio dietro il quale nascondere le proprie mancanze e reprimere ogni dissenso. Con il Battesimo abbiamo ricevuto la dignità sacerdotale, regale e profetica: non la esercitiamo solo con l’assenso, ma anche con la critica. Papa Francesco nell’Evangelii gaudium, ai numeri dal 93 al 98, parla della “mondanità spirituale” e dice: “La mondanità spirituale, che si nasconde dietro le apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa, consiste nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana e il benessere personale… Chi è caduto in questa mondanità guarda dall’alto e da lontano, rifiuta la profezia dei fratelli, squalifica chi gli pone domande, fa risaltare continuamente gli errori degli altri ed è ossessionato dall’apparenza. Ha ripiegato il riferimento del cuore all’orizzonte chiuso della sua immanenza e dei suoi interessi e, come conseguenza di ciò, non impara dai propri peccati né è autenticamente aperto al perdono. E’ una tremenda corruzione con apparenza di bene. La mondanità spirituale porta alcuni cristiani ad essere in guerra con altri cristiani che si frappongono alla loro ricerca di potere, di prestigio, di piacere o di sicurezza economica”. Ecco perché sono contento di essere Parroco di San Giuliano: perché è una Parrocchia dove si dibatte, ci si confronta anche con toni accesi su questioni molto importanti, senza paura di dire come la si pensa, senza il timore di disturbare il manovratore, chiunque egli sia. E’ una Parrocchia nella quale, ne sono convinto, non albergano le “diverse forme di odio, divisione, vendetta, gelosia, desiderio di imporre le proprie idee a qualsiasi costo, fino a persecuzioni che sembrano un’implacabile caccia alle streghe” ( Evangelii gaudium n. 100). E’ una Comunità dove si discute e poi ci si ritrova alla Messa domenicale con cuore libero e gioioso, con la consapevolezza di essere tutti discepoli dell’unico Maestro, pur avendo ognuno la propria opinione. E stimandoci per questo. Fosse così tutta la Chiesa!
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