Fatto decisamente inusuale: il Papa ha aperto i lavori della Conferenza episcopale italiana con un intervento che ha preso il posto della tradizionale prolusione del cardinale presidente.
Che cosa ha detto il Papa? In alcuni tratti del suo discorso è stato quasi poetico, sempre molto alto, in qualche caso anche molto crudo. E’ una tecnica spesso usata da chi parla ad un pubblico di cui si riconoscono i meriti ma anche i punti deboli: presentare questi ultimi, che sono realtà di fatto, come eventualità, come possibilità magari anche remote, come tentazioni dalle quali guardarsi. E proprio quella delle tentazioni è la categoria usata più spesso dal Papa. Ma lasciamo la parola a lui.
“Ho vissuto quest’anno cercando di pormi sul passo di ciascuno di voi: negli incontri personali, nelle udienze come nelle visite sul territorio, ho ascoltato e condiviso il racconto di speranze, stanchezze e preoccupazioni pastorali”. Il vescovo, dunque, come ogni comune mortale, ha speranze, stanchezze, preoccupazioni. Già, perché anche lui ha una famiglia, che è la Diocesi, e con tanti figli ci sono anche tanti pensieri. E tante incombenze. Dice ancora il Papa: “A noi guarda il popolo fedele. Il popolo ci guarda!… Ci guarda per essere aiutato a cogliere la singolarità del proprio quotidiano nel contesto del disegno provvidenziale di Dio. E’ missione impegnativa, la nostra: domanda di conoscere il Signore, fino a dimorare in Lui; e, nel contempo, di prendere dimora nella vita delle nostre Chiese particolari, fino a conoscerne i volti, i bisogni e le potenzialità… Chiediamoci dunque: Chi è per me Gesù Cristo? Come ha segnato la verità della mia storia? Che dice di Lui la mia vita? La fede, fratelli, è memoria viva di un incontro, alimentato dal fuoco della Parola che plasma il ministero e unge tutto il nostro popolo; la fede è sigillo posto sul cuore: senza questa custodia, senza LA PREGHIERA ASSIDUA, il Pastore è esposto al pericolo di vergognarsi del Vangelo, finendo per stemperare lo scandalo della croce nella sapienza mondana”. Anche un vescovo, dunque, rischia di pregare poco, di perdere il legame profondo con Gesù, di diventare un funzionario travolto da tante, troppe urgenze, un uomo colto pieno di sapienza mondana, ma poco incline ai tratti impervi e spigolosi imposti dal sentiero della Croce.
Continua il Papa: “Le tentazioni, che cercano di oscurare il primato di Dio e del suo Cristo, sono “legione” nella vita del pastore: vanno dalla tiepidezza, che scade nella mediocrità, alla ricerca di un quieto vivere, che schiva rinunce e sacrificio. E’ tentazione la fretta pastorale, al pari della sua sorellastra, quell’accidia che porta all’insofferenza, quasi tutto fosse soltanto un peso. Tentazione è la presunzione di chi si illude di poter far conto solamente sulle proprie forze, sull’abbondanza di risorse e strutture, sulle strategie organizzative che sa mettere in campo. Tentazione è accomodarsi nella tristezza, che, mentre spegne ogni attesa e creatività, lascia insoddisfatti e quindi incapaci di entrare nel vissuto della nostra gente e di comprenderlo alla luce del mattino di Pasqua. Fratelli, se ci allontaniamo da Gesù Cristo, se l’incontro con Lui perde la sua freschezza, finiamo per toccare con mano soltanto la sterilità delle nostre parole e delle nostre iniziative. Perché i piani pastorali servono, ma la nostra fiducia è riposta altrove: nello Spirito del Signore, che, nella misura della nostra docilità, ci spalanca continuamente gli orizzonti della missione.
Per evitare di arenarci sugli scogli, la nostra vita spirituale non può ridursi ad alcuni momenti religiosi. Nel succedersi dei giorni e delle stagioni, nell’avvicendarsi delle età e degli eventi, alleniamoci a considerare noi stessi guardando a Colui che non passa: spiritualità è ritorno all’essenziale, a quel bene che nessuno può toglierci, la sola cosa veramente necessaria. Anche nei momenti di aridità, quando le situazioni pastorali si fanno difficili e si ha l’impressione di essere lasciati soli, essa è manto di consolazione più grande di ogni amarezza; è metro di libertà dal giudizio del cosiddetto “senso comune”; è fonte di gioia, che ci fa accogliere tutto dalla mano di Dio, fino a contemplarne la presenza in tutto e in tutti. Non stanchiamoci, dunque, di cercare il Signore, di lasciarci cercare da Lui, di curare nel silenzio e nell’ascolto orante la nostra relazione con Lui. Teniamo fisso lo sguardo su di Lui, centro del tempo e della storia; facciamo spazio alla Sua presenza in noi: è Lui il principio e il fondamento che avvolge di misericordia le nostre debolezze e tutto trasfigura e rinnova; è Lui ciò che di più prezioso siamo chiamati ad offrire alla nostra gente, pena il lasciarla in balìa di una società dell’indifferenza, se non della disperazione. Di Lui, anche se lo ignorasse, ogni uomo vive: in Lui, uomo delle Beatitudini, passa la misura alta della santità: se intendiamo seguirlo non ci è data altra strada. Percorrendola con Lui, ci scopriamo popolo fino a riconoscere con stupore e gratitudine che tutto è grazia, perfino le fatiche e le contraddizioni del vivere umano, se queste vengono vissute con cuore aperto al Signore, con la pazienza dell’artigiano e con il cuore del peccatore pentito”. Vola decisamente alto, il Papa. E queste parole si possono applicare non solo ai vescovi a cui sono rivolte, ma anche ad ognuno di noi.
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