Ogni tanto mi chiedo che cosa venga percepito dalle persone quando sentono pronunciare la parola “oratorio”. Posto che, almeno nelle nostre zone, tutti coloro che non hanno una significativa cultura musicale associno la parola a quell’ambiente che, in una parrocchia, viene solitamente occupato da bambini e ragazzi per la catechesi e le attività ludico-sportive, mi verrebbe da chiedere quali altri contenuti si danno a questa parola: tanti anni fa il Vescovo Alessandro Maggiolini, in un Piano pastorale proprio sull’Oratorio, diceva che esso è soprattutto una “mentalità”. Quindi non anzitutto un luogo, bensì un modo di pensare. Che cosa significa avere questa mentalità? Credo che voglia dire, prima di tutto, avere una grande passione per Gesù. Solo se Gesù è davvero il centro della nostra vita possiamo dircene innamorati. E se ne siamo innamorati, allora diventa nostro precipuo interesse farlo conoscere, perché altri possano vivere la nostra stessa gioia. Chi è innamorato di Gesù non teme di proporlo a tutti, anche a quelli che apparentemente non sono interessati e non vogliono ascoltare, e si sforza di presentare una realtà ecclesiale che non sia sempre e comunque una “dogana”, ma che sappia suscitare gioia e partecipazione vera. Purtroppo in tante parrocchie si paga ancora lo scotto della mentalità che la Chiesa è per pochi eletti, per i più bravi (salvo poi avere cocenti delusioni quando i più bravi si dimostrano peggiori degli altri!), per quelli sempre disposti ad ubbidire subito, per quelli che possono andare all’Oratorio solo se prima sono andati a Messa. E qui arriviamo alla seconda grande passione richiesta dalla “mentalità “ di Oratorio: la passione educativa. Che si traduce nella passione per l’uomo, per questa creatura stupenda e fragile, immagine e somiglianza di Dio, spesso deturpata e resa irriconoscibile eppure sempre preziosa agli occhi del Creatore. L’educazione è “cosa del cuore” e deve almeno tentare di tirar fuori da ognuno il meglio. Guai se pensassimo che l’efficacia dell’educazione educativa sia legata alle strutture: san Filippo Neri aveva a disposizione la soffitta di una sacrestia eppure ha educato all’amore per Dio e per il prossimo migliaia di giovani. Anzi, spesso le strutture, con la loro opulenza e la loro grandiosità, fanno velo ad un’immagine di Chiesa che invece dovrebbe rispecchiare di più la povertà e l’essenzialità del Maestro. Guai se pensassimo che l’efficacia dell’azione educativa risieda nella organizzazione. Dato un canovaccio, perché non lasciamo fare alla fantasia di Dio e degli uomini? La Chiesa ha così tanto bisogno del prete manager, sempre attaccato al cellulare e che non ha mai un attimo libero per ascoltare davvero chi ha bisogno? Guai se pensassimo che un Oratorio funziona perché il bar è sempre strapieno, il campo di calcio pure e la sagra della porchetta ha fatto incassare un mucchio di soldi: per fare tutte queste cose va benissimo la pro loco. Un Oratorio è tale quando sa proporre cammini impegnativi e difficile, quando è capace di far accostare chi è andato al bar, ha giocato a calcio e ha mangiato un panino con la porchetta, a Gesù, in una qualunque forma, rispettosa, ma anche seria. In un Oratorio non possono esserci responsabili che non siano innamorati di Gesù e non abbiano passione educativa! In tal caso bisognerebbe davvero valutare se tenere aperta una struttura che ha perso il suo senso profondo e si è ridotta ad offrire un luogo di ritrovo. Forse sarebbe meglio reimpostare il tutto, magari usando la metodologia di san Filippo Neri: gite educative, volontariato nelle strutture di assistenza, iniziative culturali. Lasciando che gli organizzatori di sagre o di tornei di calcio da cento squadre trovino altri spazi. Da quanto scritto si capisce che la Parrocchia ha bisogno di persone formate per poter educare. Formate anzitutto alla vita spirituale, perché non si può dare ciò che non si possiede: come si può far innamorare di Gesù gli altri se il mio amore per Lui è tiepido o inesistente, se non partecipo sempre alla Messa, se mi confesso una volta ogni morte di Papa? Formate, poi, alla vita ecclesiale. Persone che vivono nella Chiesa, comunità di peccatori, ma in cammino verso la santità, che ha a cuore la sorte di tutti i suoi figli, in particolare dei piccoli, dei deboli, di quelli che hanno una fede fragile. Una Chiesa che è e si sente missionaria, capace e desiderosa di annunciare con gioia il Vangelo di Gesù a tutti (ovviamente anche a quelli della sagra, se non si fosse capito!).
L’Oratorio-mentalità è un gioiello prezioso, da custodire con cura nel nostro cuore. E da proporre senza timore a tutti, perché, alla fine, ognuno vi si possa riconoscere. Ma, poi, ha bisogno anche del sostegno di tutti per essere tenuto in piedi anche nelle sue strutture. Se nessuno dà una mano che senso ha l’Oratorio? Sarebbe quasi meglio farne un museo fotografico e archeologico, che illustri i fasti di una Chiesa che fu.
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