“Non lasciamoci rubare la speranza”: con queste parole il Papa conclude il n.86 dell’Evangelii gaudium. Dobbiamo ammetterlo: qualche volta siamo tentati anche noi, in teoria portatori della gioia del Vangelo, dal pessimismo cinico e disincantato di chi vede sempre e solo il male (di solito negli altri, con noi stessi siamo piuttosto indulgenti). E qualche volta ci sembra di avere un compito che va ben oltre le forze umane, dovendo cambiare un mondo che di cambiare non ha per nulla voglia. E così ci scoraggiamo, tiriamo i remi in barca e lasciamo che siano gli altri, gli ingenui o gli illusi, a continuare a combattere per un mondo più giusto e più bello, più somigliante a come Dio l’ha pensato e continua a pensarlo. Ci dice il Papa al n. 84 dell’Evangelii gaudium: “I mali del nostro mondo – e quelli della Chiesa – non dovrebbero essere scuse per ridurre il nostro impegno e il nostro fervore. Consideriamoli come sfide per crescere. Inoltre, lo sguardo di fede è capace di riconoscere la luce che sempre lo Spirito Santo diffonde in mezzo all’oscurità, senza dimenticare che “dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia”. La nostra fede è sfidata a vedere il vino in cui l’acqua può essere trasformata e a scoprire il grano che cresce in mezzo alla zizzania”. Non si tratta, dunque, di chiudere gli occhi per non vedere il male: si tratta di aprirli a tal punto da scoprire il bene, che è certamente meno appariscente, ma permea ogni ambito della società umana. Anche quando un’analisi seria ci pone di fronte a situazioni non troppo rosee, il discepolo del Risorto è capace di cogliere le potenzialità di bene insite in quelle situazioni: nessuna situazione è così disperata da non poter essere cambiata, se la si coglie dal lato giusto. Sempre il Papa ci ricorda che “in alcuni luoghi si è prodotta una desertificazione spirituale, frutto del progetto di società che vogliono costruirsi senza Dio o che distruggono le loro radici cristiane… Ma è proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto, che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi, uomini e donne. Nel deserto si torna a scoprire il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso manifestati in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita. E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indichino la via verso la terra promessa e così tengono viva la speranza. In ogni caso, in quelle circostanze siamo chiamati ad essere persone-anfore per dare da bere agli altri”. Ecco il ruolo dei discepoli di Gesù: portatori, spesso misconosciuti, di acqua viva, capaci di annunciare la buona notizia con l’entusiasmo e la coerenza che i nostri tempi richiedono, con la consapevolezza che Cristo ha vinto tutto, anche il peccato e la morte. Perciò dobbiamo stare attenti perché “una delle tentazioni più serie che soffocano il fervore e l’audacia è il senso di sconfitta, che ci trasforma in pessimisti scontenti e disincantati dalla faccia scura. Nessuno può intraprendere una battaglia se in anticipo non confida pienamente nel trionfo. Chi comincia senza fiducia ha già perso metà della battaglia e sotterra i propri talenti… Il trionfo cristiano è sempre una croce, ma una croce che al tempo stesso è vessillo di vittoria, che si porta con una tenerezza combattiva contro gli assalti del male” (Evangelii gaudium n.85).
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