Dopo le forti ed accorate parole del Papa, ci vengono spontanee tante riflessioni e tante domande, a partire dai fatti che si stanno svolgendo in Israele e nella striscia di Gaza. E le riflessioni sono un po’ amare: l’uomo sembra avere un bisogno genetico della guerra. Non parlo solo della guerra tra Stati, tra eserciti. Certo, già questa è esecrabile, con il suo carico di lutti, di miserie, con la morte di tanti innocenti (ma adesso li chiamano “danni collaterali” e quindi possiamo stare più tranquilli!). Tuttavia tanti di quelli che condannano, a seconda della preferenza ideologica, gli uni o gli altri, oppure coloro che condannano la guerra in sé e per sé perché non provano a fare un esame di coscienza per vedere se la loro vita è così libera dalla violenza, dal rancore, dai dissidi e dalle discordie? È molto più facile sventolare una bandiera della pace che andare a far pace con il tuo vicino di casa o con il tuo compagno di scuola, verso i quali hai qualcosa da ridire o qualche rivendicazione da fare. Si può forse negare che i nostri condominii, i nostri quartieri, i luoghi di lavoro sono spesso campi di battaglia, dove nascono e si coltivano rancori profondi? E questo non capita anche nella Chiesa, nelle nostre parrocchie, nelle nostre diocesi? Forse ci aiuterebbe il pensare alla sofferenza, soprattutto alla sofferenza dei deboli, degli indifesi. Perché, alla fine, è verissimo quel proverbio africano: “quando due elefanti litigano è l’erba che rimane calpestata”. Ne sanno qualcosa tanti figli di coniugi che si sono separati e che continuano a farsi la guerra sulla pelle dei loro bambini: non sono forse battaglie tragiche anche queste, dove il sangue viene comunque sparso in abbondanza, anche se non fisicamente? Dove spesso si muore “dentro”, pur rimanendo vivi “fuori”. Chi siamo noi per procurare una sofferenza gratuita agli altri? Che diritto abbiamo di far prevalere il nostro egoismo, il nostro orgoglio, il nostro punto di vista a scapito della serenità di altri? Sono proprio così importanti i valori che dobbiamo difendere al punto da provocare una sofferenza a chi non c’entra per nulla? Scopriremmo, se fossimo onesti nel rispondere, che ognuno di noi ha le sue piccole guerricciole e che allora, insieme alla condanna delle guerre degli altri, occorre un forte impegno per debellare quella parte di noi che è più vicina all’animalità che alla razionalità. Misurare parole e gesti nei rapporti più quotidiani, a partire da quelli in famiglia, ispirarli continuamente all’agire, al parlare, al pensare di Gesù per poter discernere il vero bene dell’altro. Preghiamo, dunque, per la pace nel mondo. Ma rimbocchiamoci anche le maniche e iniziamo seriamente ad eliminare la guerra dalla nostra vita.
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