Come anticipato, mi rifaccio oggi alle parole del Papa, che parla dei conflitti e del giusto modo di affrontarli. Lo fa dal n. 226 al n. 237 dell’ “Evangelii gaudium”. Dice il Papa: “Il conflitto non può essere ignorato o dissimulato. Dev’essere accettato. Ma se rimaniamo intrappolati in esso, perdiamo la prospettiva, gli orizzonti si limitano e la realtà resta frammentata. Quando ci fermiamo nella congiuntura conflittuale, perdiamo il senso dell’unità profonda della realtà”. Sembra proprio che si riferisca a due categorie di persone: quelle che evitano ogni conflitto, non ascoltano l’altro, fanno finta di niente, tanto prima o poi l’altro si stanca, adottano la tecnica del muro di gomma, sono capaci solo di colpire alle spalle quando tutto è tranquillo e quelle che vivono di conflitti, che hanno bisogno di un nemico per affermare la propria personalità insicura, a cui non va mai bene niente degli altri parchè in realtà sono profondamente delusi di se stesse. Sono gli estremi, che rendono sempre molto difficile risolvere situazioni che, nel merito, esigevano invece un intervento tipico delle persone mature e sagge. Continua, infatti, il Papa: “Di fronte al conflitto, alcuni semplicemente lo guardano e vanno avanti come se nulla fosse, se ne lavano le mani per poter continuare la loro vita. Altri entrano nel conflitto in modo tale che ne rimangono prigionieri, perdono l’orizzonte, proiettano sulle istituzioni le proprie confusioni e insoddisfazioni e così l’unità diventa impossibile. Vi è, però, un terzo modo, il più adeguato, di porsi di fronte al conflitto. E’ accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo. “Beati gli operatori di pace”. In questo modo si rende possibile sviluppare una comunione nelle differenze, che può essere favorita solo da quelle nobili persone che hanno il coraggio di andare oltre la superficie conflittuale e considerano gli altri nella loro dignità più profonda. Per questo è necessario postulare un principio che è indispensabile per costruire l’amicizia sociale: l’unità è superiore al conflitto. La solidarietà, intesa nel suo significato più profondo e di sfida, diventa così uno stile di costruzione della storia, un ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita. Non significa puntare al sincretismo né all’assorbimento di uno nell’altro, ma nella risoluzione su di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità della polarità in contrasto”. Cioè la diversità di vedute e di sottolineature può essere una grande ricchezza e si deve sempre tentare di accoglierla in una verità più grande, soprattutto quando si è nel campo dell’opinabile. Siamo invitati, dunque, a non avere paura di manifestare le nostre idee, senza, ovviamente, la pretesa che siano accolte da tutti come verità rivelata. Un po’ di sana umiltà non guasta mai quando si propongono le proprie opinioni. Così come non guasta in chi le ascolta e magari ha la tentazione di squalificarle subito perché non collimano con le proprie.
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