E’ ancora possibile criticare all’interno della Chiesa? La domanda mi è venuta leggendo la piccata risposta del direttore Marco Tarquinio su “Avvenire” del 2 gennaio 2015 ad alcune lettere che commentavano l’articolo di Vittorio Messori (apparso il 24 dicembre sul “Corriere della sera”), nel quale si prendevano le distanze da alcune iniziative e da alcuni atteggiamenti di papa Francesco. Non entro nel merito delle questioni sollevate da Messori aspramente confutato da Tarquinio, mi soffermo solo su alcune espressioni usate dal direttore del quotidiano cattolico: “una mossa congegnata per fare rumore con la pretesa di “segnare” il Natale ormai alle porte”; “una sorta di requisitoria tesa a chiudere nel recinto dell’autodifesa la Chiesa, che il Papa vuole in uscita”; “far rumore disegnando un’amara caricatura del Papa”; “non c’è dubbio che l’articolo di Messori sia un mezzo per eccitare divisioni”; quest’ultima affermazione mi sembra inquietante, perché presuppone che quando non si è d’accordo si debba comunque star zitti, per non fomentare divisioni e pericolose lacerazioni nella tunica di Gesù. Cose già personalmente sentite dalle nostre parti qualche tempo fa. Cose che continuano a indignarmi e a darmi la brutta sensazione che da parte di tanti ci sia ancora l’idea che dire la propria opinione a voce alta sia un reato di lesa maestà nei confronti del manovratore di turno. E’ possibile ancora criticare un papa, un vescovo, un parroco, un presidente della repubblica, un presidente del consiglio, un sindaco, un presidente del circolo degli anziani, un amministratore delegato delle ferrovie, un amministratore di condominio, un padre di famiglia senza incorrere negli strali di chi è più realista del re? Sono illuminanti le parole del nostro vescovo nel “Te Deum” di fine anno: “Prendere sul serio il punto di vista di qualcuno che la pensa diversamente da me è ritenuto da molti segno di debolezza, non crea consenso… Perché non ci impegniamo un po’ di più per il 2015 ad affrontare la fatica di un pensiero articolato, aperto al dialogo e umilmente disponibile alla discussione? Perché non affrontiamo la fatica di una proposta, quando diciamo il nostro parere, motivata e capace di riaprire cammini di speranza?”. Parole sante! Valide per la Chiesa e non. Certo, è forse più facile per un capo circondarsi di persone che la pensano sempre come lui. Non so, però, quanto sia produttivo. La fine di certi dittatori dovrebbe aver insegnato qualcosa. Mi sono premurato di rispolverare (letteralmente!) il vecchio dizionario di greco del liceo, il glorioso “Rocci”, compagno di tante battaglie e di tante sudate. Sono andato a cercare i significati del verbo “krino”, da cui deriva la parola “critica”, e ne ho trovati parecchi: distinguo, scevero, secerno, separo, scelgo, preferisco, decido, penso, stimo, credo, giudico, dichiaro, valuto; come termine tecnico legale e forense: giudico, sentenzio, accuso, aggiudico, esamino, interrogo. A me sembra che il significato più in voga oggi sia “accuso”. Ogni critica viene vista da chi la subisce come un’accusa alla propria competenza, alla proprio credibilità, alla propria intelligenza. In realtà al proprio orgoglio, che troppo spesso la fa da padrone nell’animo di chi gestisce anche un minimo di potere. E che trova sempre solerti difensori, solitamente legati da un qualche interesse e, più raramente, da un sincero e sviscerato amore, che permette di vedere solo le virtù dell’amato. In definitiva, credo che poter dire la propria opinione sia un diritto e, in alcuni casi, anche un dovere. Una posizione diversa dalla mia è sempre un arricchimento, anche se qualche volta dispiace non essere approvati da tutti. E penso che il Papa non abbia bisogno di difensori d’ufficio, anzi! D’altronde lo ricorda lo stesso direttore di “Avvenire”: “Sono convinto anch’io che un dialogo anche critico, ma fraterno e onesto, sia prezioso fuori e dentro la Chiesa e che a questo papa Francesco ci stia invitando”. Meno male che ne è convinto, altrimenti chissà…
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