Auguri/1

Di : | Il : 24-01-2015

Che il Papa non le mandi a dire è ormai risaputo. Uno delle cose che si apprezzano di più in Francesco è la schiettezza, che oserei definire evangelica, unita all’uso di un linguaggio semplice, immediatamente comprensibile a tutti, lontano anni luce dal politichese e dal teologhese troppo spesso utilizzati da tanti uomini di Chiesa (ecclesiastici e laici cooptati. Sì, perché per entrare in certi circoli devi parlare con la lingua tipica del gruppo, comprensibile solo agli adepti, altrimenti sei irrimediabilmente escluso: e questo per alcuni laici, già affetti da un tremendo complesso di inferiorità, è intollerabile. Far parte di un club ristretto, anche se staccato dal mondo reale, dà sempre una certa soddisfazione a chi non può averne altre). E con questo stile si è rivolto alla curia romana per gli auguri di Natale. Che si sono trasformati in un esame di coscienza che non può non aver fatto piacere a coloro che perseguono un rinnovamento anche morale della Chiesa. Anche perché i concetti espressi dal Papa mi sembra che possano essere validi non solo per cardinali e monsignori che lavorano in Vaticano, ma anche per tutti i curiali di tutto il mondo e, perché no, per parroci e parrocchiani di tutto il mondo. Per esempio quando Francesco parla dell’errore di sentirsi indispensabili: chi non ha mai avuto questa tentazione? Ce l’hanno tanti papà e (soprattutto) mamme nei confronti dei figli. “Dopo di me il nulla”, come se il mondo fosse destinato a finire con la morte del soggetto in questione. E tanti parroci e/o vicari non dimostrano di avere la stessa convinzione (anche se ribaltata cronologicamente: “prima di me il nulla”) quando arrivano in Parrocchia e radono a zero tutto quello che è stato fatto dal predecessore, con epurazioni che Stalin al confronto era un dilettante? E tanti parrocchiani affezionati al proprio orticello, alla propria fettina di “potere”, all’ebbrezza di essere gli unici consiglieri ascoltati dal parroco, i saggi che quando parlano loro in consiglio pastorale tutti ascoltano proni, i factotum che “se manco io questa Parrocchia va a rotoli”, il prezzemolo che “se manco ad una riunione chissà il parroco che cosa dice” (ma cosa deve dire? Meno male che per una volta è stato/a a casa con suo/a marito/moglie!)? Pensare con un po’ di umiltà a noi stessi sarebbe proprio una cosa saggia. Ritenerci perfettamente sostituibili ci aiuterebbe a svolgere i nostri compiti con maggior distacco, con più lungimiranza, ad essere davvero persone che hanno come unico interesse il bene comune e non il proprio. Ci aiuterebbe persino a tirarci da parte quando scopriamo che la nostra presenza sta diventando un peso, che impedisce lo sviluppo delle situazioni e la crescita delle persone. Ci sono tante aziende che falliscono miseramente alla morte del fondatore perché il fondatore stesso non ha saputo o voluto pensare al dopo. Preso da un delirio di onnipotenza non ha saputo o voluto far crescere qualcuno che potesse prendere il suo posto. Si è ritenuto immortale, poverino. Un primo aspetto, quindi, valido per la curia romana, ma anche per ognuno di noi, se vogliamo essere autentici discepoli di Gesù, consapevoli di essere solo poveri servi. 

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