I fatti di questi giorni (mazzette, corruzione e quant’altro) mi fanno pensare a tutto quello che Gesù diceva riguardo al denaro e ai suoi possessori, fino al clamoroso “o Dio o mammona”. Aut-aut: non possono stare insieme due divinità. Bisogna scegliere. Non si può tenere il piede in due scarpe. E questo vale per tutti. Perché tutti hanno la tentazione dell’idolatria, che assume varie forme e spesso proprio quella di un foglietto di carta filigranata. E, subito collegata a questa, la tentazione del possesso, dell’ostentazione di ciò che ci si può permettere, nell’illusione che gli altri ci stimino per ciò che possediamo, illudendoci di non sapere che, se va bene, ci invidiano e, se va male, ci odiano. Ovviamente tra un apparente sorriso e un’adulazione di circostanza. La tentazione del denaro è autenticamente democratica: c’è per il povero (ne vorrebbe un po’ di più) e per il ricco (ne vorrebbe molto di più). E’ una tentazione alienante, perché porta a non essere mai contenti di quello che si ha, volendo avere sempre di più. Porta a costruire rapporti sociali sbagliati, a fingere sentimenti che non si hanno nei confronti di chi potrebbe contribuire a un arricchimento, a essere bugiardi. Infelici, lontani dalla verità e soli: non è una bella prospettiva. Eppure sembra così avvincente per molti! Ma mi fa pensare in modo particolare vedere che tanti cristiani si fanno prendere da questo demone. E non sto facendo il solito discorso pauperistico che lascia il tempo che trova. La ricchezza è legittima, anche i ricchi, ogni tanto, fanno qualcosa di buono (l’evangelico Zaccheo insegna). Spesso essa è frutto di sudore, di impegno, di abnegazione e porta un autentico servizio alla società, la fa crescere anche in termini di condivisione e di solidarietà. Il problema nasce quando il denaro diventa un fine e non è più un mezzo per fare del bene. Mantenersi distaccati dal denaro è un’impresa difficile, sia per chi ne ha poco sia per chi ne ha tanto. E quando il demone ci prende non è facile distinguere il bene dal male e l’interesse privato si traveste da interesse pubblico, l’individualismo più sfrenato diventa esemplare di un certo modello di persona vincente, capace, l’unica veramente degna di rispetto. Così si diventa mafiosi, pur senza essere entrati nella mafia. Allora i compromessi sono all’ordine del giorno, a tal punto che la coscienza, ormai completamente anestetizzata, li fa cogliere come il bene, come l’unico bene realisticamente possibile. Imprenditori, politicanti, burocrati, banchieri… sono tutti sull’orlo di un precipizio. Basta cedere una volta per essere inghiottiti dal gorgo infernale del malaffare, della disonestà, del proprio interesse elevato ad esclusivo ideale di vita. Un gorgo terribile, che chiede il silenzio, l’omertà, le coperture, le complicità. Un gorgo che trascina la persona sempre più giù, che fa perdere completamente i connotati di discepolo del Signore, chiamato a svolgere un compito di servizio nei confronti della società, del bene comune. Un po’ alla volta si perde completamente il senso di Dio, anche se magari si continua nella pratica religiosa, si va comunque a Messa, si prega…ma tutto senz’anima, senza vera comprensione di ciò che Dio chiede. Il proprio comodo diventa l’unico criterio di discernimento. Essere discepolo di Gesù implica un certo tipo di atteggiamento nei confronti del denaro e dei beni materiali in generale. Chi si dice cristiano non può sottostare alle logiche del mondo. Deve almeno sentire il dovere della condivisione di un po’ di quello che possiede, deve comunque tenere sempre presente l’esempio di Gesù, povero e servo, per poter adeguare la propria vita a quella del Maestro. E soprattutto gli ecclesiastici devono tener presente l’esigenza di essere loro stessi degli esempi. Ma su questo torneremo la prossima settimana.
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