Quando distribuisco la Comunione durante la Messa affido sempre le persone che mi sfilano davanti per ricevere il Corpo di Cristo. Persone che hanno le loro gioie e i loro dolori e che il parroco conosce. E proprio questa conoscenza mi permette di affidare a Gesù in modo particolare le pene che ognuno porta nel cuore. Sì, perché in 27 anni di sacerdozio ho incontrato migliaia di persone e posso affermare con assoluta certezza che non esiste una persona che sia esente dalla croce, intesa come peso da portare o fatica da fare o sofferenza da sopportare. E i volti di queste persone parlano. Parlano di forza, di serenità, di accettazione, di resistenza, di caparbietà… parlano di una fede a volte in crisi, messa a dura prova dalle vicende della vita, a volte così forte da donare tanta serenità anche in mezzo alle tempeste più tremende. La fede, quando diventa abbandono alla volontà di Dio, nella convinzione che il Padre vuole sempre il nostro bene, è un’arma potentissima. Riesce infatti a scardinare l’opera del Maligno, che da sempre vuole separare l’uomo da Dio, per farci provare il dramma della solitudine, dell’impossibilità di essere aiutati e sostenuti, dell’orgoglio che rifiuta, sprezzante, qualunque presenza che possa minare l’umana volontà di potenza. I volti parlano. E raccontano storie di amore e di odio, di generosità e di rancore, di dono e di ingratitudine. Rivelano la presenza di una sofferenza fisica o di una sofferenza spirituale, dicono la gioia, manifestano la felicità. Come sarebbe bello se riuscissimo a “sprecare” un po’ di tempo per guardarci in modo non superficiale, per cercare di fare quello che faceva Gesù, il quale “guardava dentro”. Forse per noi sarebbe già un traguardo guardare negli occhi, guardare in viso. E lasciarsi guardare, rischiando che l’altro scopra le nostre debolezze, le nostre fragilità, le nostre pietose bugie. Forse è proprio questa la parte più difficile, soprattutto per chi è abituato a dare, a non chiedere, a sostenere gli altri: farsi scoprire debole, bisognoso di aiuto, di sostegno, incapace di arrivare dappertutto. È l’esperienza che viviamo quando siamo malati e ci sembra che la nostra vita si trascini nell’inutilità, diventando un peso per gli altri, senza renderci conto, invece, della preziosità del tempo della malattia, che ci unisce in modo tutto particolare alla Croce di Gesù. E se noi stessi provassimo a guardare seriamente il nostro volto, magari al mattino, nello specchio, che cosa riusciremmo a vedere?
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