Nella terza parte del suo discorso ai vescovi italiani il Papa elenca un’altra serie di tentazioni e mette in guardia da comportamenti sbagliati, che possono incidere in modo significativo sulla vita della Chiesa e sulla sua testimonianza di fronte al mondo.
“Chiediamoci, fratelli: ho lo sguardo di Dio sulle persone e sugli eventi? Temo il Giudizio di Dio? Di conseguenza, mi spendo per spargere con ampiezza di cuore il seme del buon grano nel campo del mondo?”
Anche qui si affacciano tentazioni che ostacolano la crescita del Regno, il progetto di Dio sulla famiglia umana. Si esprimono sulla distinzione, che a volte accettiamo di fare, tra “i nostri” e “gli altri”; nelle chiusure di chi è convinto di averne abbastanza dei propri problemi, senza doversi curare dell’ingiustizia che è causa di quelli altrui; nell’attesa sterile di chi non esce dal proprio recinto e non attraversa la piazza, ma rimane a sedere ai piedi del campanile, lasciando che il mondo vada per la sua strada… Servire il Regno comporta di vivere decentrati rispetto a sé stessi, protesi all’incontro che è poi la strada per ritrovare veramente ciò che siamo: annunciatori della verità di Cristo e della sua misericordia. Verità e misericordia: non disgiungiamole. Mai!”. Parole stupende, che chiedono solo di essere messe in pratica, non solo dai vescovi, ma da tutti noi, discepoli di Gesù. Perché qualche volta abbiamo anche noi la tentazione di sederci ai piedi del campanile, aspettando che siano gli altri a farsi avanti, lamentandoci perché siamo in pochi, ma in realtà non facendo nulla per essere qualcuno in più.
Il Papa continua: “Fratelli, il vostro annuncio sia cadenzato sull’eloquenza dei gesti. Mi raccomando: l’eloquenza dei gesti! Come Pastori siate semplici nello stile di vita, distaccati, poveri e misericordiosi, per camminare spediti e non frapporre nulla tra voi e gli altri. Siate interiormente liberi, per poter essere vicini alla gente, attenti ad impararne la lingua, ad accostare ognuno con carità, affiancando le persone lungo le notti delle loro solitudini, delle loro inquietudini e dei loro fallimenti: accompagnatele, fino a riscaldare il loro cuore e provocarle così a intraprendere un cammino di senso, che restituisca dignità, speranza e fecondità alla vita.”
Potremmo definirlo un esame di coscienza, questo discorso del Papa. Parole che ci fanno capire quanto ci sia bisogno di pregare per i nostri vescovi. Hanno un compito fondamentale e pesante e restano uomini, con le loro fragilità e le loro debolezze. E d’altronde abbiamo anche il diritto di aspettarci, da loro, di essere spronati alla santità non tanto a parole, ma con l’esempio della loro vita. La controtestimonianza di un vescovo è molto più grave, rispetto a quella di tutti gli altri, perché fa perdere credibilità alla sua parola e alla sua persona, ma anche allo stesso Cristo Maestro e Pastore. Comprendiamo, dunque, con misericordia, ma non stanchiamoci, nel nostro piccolo, di spronare e richiamare ad una coerenza evangelica che si deve esprimere in ogni ambito della propria vita e nei riguardi di tutte le persone che il Signore ha affidato alla loro guida, soprattutto quelle più deboli e indifese. Potremmo, dunque, fare nostre la parole conclusive del Papa: “Vi accompagno con la mia preghiera e la mia vicinanza”.
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