Un passo indietro. Il 13 ottobre il card. Erdo, relatore generale del Sinodo, tiene la “relatio post disceptationem” davanti alla stampa di tutto il mondo. In questa Relazione ai nn. 50, 51 e 52 si parla delle persone omosessuali: ”Le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana: siamo in grado di accogliere queste persone, garantendo loro uno spazio di fraternità nelle nostre comunità? Spesso esse desiderano incontrare una Chiesa che sia casa accogliente per loro. Le nostre comunità sono in grado di esserlo accettando e valutando il loro orientamento sessuale, senza compromettere la dottrina cattolica su famiglia e matrimonio. La questione omosessuale ci interpella in una seria riflessione su come elaborare cammini realistici di crescita affettiva e di maturità umana ed evangelica, integrando la dimensione sessuale: si presenta quindi come un’importante sfida educativa. La Chiesa peraltro afferma che le unioni tra persone dello stesso sesso non possono essere equiparate al matrimonio fra uomo e donna. Non è nemmeno accettabile che si vogliano esercitare pressioni sull’atteggiamento dei pastori o che organismi internazionali condizionino aiuti finanziari all’introduzione di normative ispirate all’ideologia del gender. Senza negare le problematiche morali connesse alle unioni omosessuali si prende atto che vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partners. Inoltre la Chiesa ha attenzione speciale verso i bambini che vivono con coppie dello stesso sesso, ribadendo che al primo posto vanno messi sempre le esigenze e i diritti dei piccoli. ”Queste parole trovano la loro forma definitiva al n. 55 del testo finale del Sinodo, quello su cui sono chiamate a lavorare le Diocesi di tutto il mondo: “Alcune famiglie vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con orientamento omosessuale. Al riguardo ci si è interrogati su quale attenzione pastorale sia opportuna di fronte a questa situazione riferendosi a quanto insegna la Chiesa: “non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia”. Nondimeno gli uomini e le donne con tendenze omosessuali devono essere accolti con rispetto e delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione” (Congregazione per la Dottrina della fede, “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali”)”. Questa proposizione viene votata a maggioranza semplice con 118 placet e 62 non placet. Anche qui non possiamo non condividere il richiamo al rispetto e alla delicatezza nei confronti delle persone omosessuali, anche perché la mia esperienza (ne ho conosciute e ne conosco parecchie) mi fa affermare che sono persone sofferenti (e quasi mai solo per i pregiudizi sociali. Al punto che, anche se non va di moda dirlo, io sostengo che hanno un certo fondamento le idee del prof. Nicolosi, psicoterapeuta americano, per il quale dall’omosessualità si può uscire seguendo una determinata e seria terapia. Queste idee sono portate avanti in Italia dal “Gruppo Lot” e dall’associazione “Obiettivo-Chaire”. Per saperne di più si può cercare su internet). Tuttavia i diversi passi delle Scritture e una dottrina bimillenaria da parte della Chiesa dovrebbero far riflettere sul contenuto di quella che viene definita “attenzione pastorale”, soprattutto riguardo alle coppie omosessuali. Anche qui un nodo fondamentale mi sembra quello della sessualità. Forse è il caso di ribadire una cosa che viene ormai sottaciuta da tutti: l’unico luogo deputato ad un esercizio corretto della sessualità è il matrimonio. Al di fuori di esso l’atto sessuale è un peccato. Anche tra persone eterosessuali, anche tra fidanzati. Certo, in una società dove tutto è permesso, dire e mettere in pratica certe cose ci fa collocare nella categoria dei pazzi o degli stupidi. Quando l’unica unità di misura diventa la soddisfazione di tutte le proprie voglie allora le voglie individuali non possono far altro che diventare diritti collettivi. E addirittura leggi dello Stato. Quando si tratta di persone non è mai facile dire cose spiacevoli, ma credo che anche questo sia indispensabile per un reale cammino di crescita dei singoli e della comunità. Anche qui la politica del salvare capra e cavoli non mi sembra molto in linea con lo stile di Gesù. E questo non vuol dire mancare di rispetto, non accogliere, mancare di delicatezza, escludere… Vuol dire semplicemente aiutare le persone a prendere coscienza di sé per trovare il proprio giusto posto nella Comunità dei fedeli. Tenendo conto che c’è anche il Demonio, il quale prospera nelle situazioni di peccato e ci porta spesso a confondere le carte, facendoci scambiare il male per bene e viceversa fino a vanificare il messaggio forte di Gesù.
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