Da ormai due anni esiste il sito della Parrocchia di san Giuliano. E da due anni, ogni settimana, propongo una riflessione sullo stile di quanto enunciato nella prima della serie. Non pretendo che tutti si ricordino che cosa avevo scritto e nemmeno che i neofiti del nostro sito vadano a recuperare quel reperto archeologico. Mi sembra utile ribadire, però, alcuni concetti che guidano questo mio scrivere settimanalmente, soprattutto perché ultimamente, con disappunto di molti e gaudio di pochi, gli interventi qui pubblicati vengono ripresi da altri siti e dalla carta stampata. Le riflessioni del sottoscritto sono quelle di un uomo comune, di un cristiano comune, di un prete comune, mediamente colto e mediamente ignorante, mediamente ingenuo e mediamente furbo, mediamente generoso e mediamente egoista. Uno come gli altri, quindi, senza pretese di verità assoluta, senza la pretesa di parlare a nome della Chiesa, come fanno altri, senza la pretesa che tutti condividano le opinioni qui espresse. Queste riflessioni vogliono solo essere un invito, a me stesso prima di tutto, e poi anche agli altri, anche a chi non le condivide, a pensare, a riflettere, appunto. E non solo sul sesso degli angeli o sui grandi temi che da sempre sono oggetto di interesse dei pensatori. Mi interessano di più i temi piccoli, vicini a noi, che ci riguardano direttamente nel nostro vivere quotidiano. Anche perché è su queste cose piccole e concrete che spesso casca l’asino e si vede che cosa davvero ha in mente chi si riempie la bocca di parole e di concetti molto alti. Pensare è spesso pericoloso, oltre che faticoso. Perché chi pensa deve essere disposto a mettere in crisi alcune certezze, a farsi guidare dalla ricerca della verità, sempre inseguita e spesso sfuggente, non deve mai accontentarsi di quello che pensano gli altri. L’omologazione del pensiero è una delle cose più terribili che può capitare ad un consorzio umano. A qualunque consorzio umano. Anche alla Chiesa, che pure non ha solo la componente umana. Qualcuno condivide quello che penso e scrivo e qualcuno no. Di questi ultimi, qualcuno ha il coraggio di dirmelo direttamente (e ringrazio, perché la critica mi arricchisce e mi aiuta a rimotivare il mio fare e mi permette di pensare) e qualcuno no, limitandosi a parlarne con altri, a creare quel clima brutto che sa di pettegolezzo stantio, spesso sconfinante nella calunnia, che mira alla demolizione dell’avversario e alla sua demonizzazione attraverso il “si dice”, il “ma sai che ho sentito dire che…”. Sono un uomo comune, un cristiano comune, un prete comune che ha mantenuto la capacità di indignarsi. E forse, senza scomodare i movimenti spagnoli, un po’ di sana indignazione ogni tanto farebbe bene a tutti. Forse, nel momento in cui questa indignazione trovasse canali leciti per esprimersi apertamente, sarebbe davvero utile a questa nostra Italia e sarebbe utile alla Chiesa stessa. Forse per qualcuno sarebbe più facile vedere tutto rosa, tutto bello, tutto fascinoso. Anche a me piacerebbe poter dire “va tutto ben, madama la marchesa!”, ma l’amore che porto al mio Paese, alla mia città, alla mia Chiesa e ai deboli mi provoca a vedere, insieme a tanto bene, anche qualcosa che può essere migliorato. Tutto qui. Un uomo comune che riflette, si pone qualche interrogativo e non ne fa mistero, non si limita a farlo circolare nella forma del pettegolezzo, ecclesiastico e non. Un uomo che esprime opinioni e le firma. Opinioni che, in quanto tali, sono opinabili. Come quelle di tanti altri, del resto! Ecco che cosa sono queste riflessioni.
comment closed