Qualche giorno fa commentavo con una persona l’assassinio di Mario Piccolino. Chi era costui? si chiederanno in molti. Era un uomo coraggioso. Avvocato di Formia, 71 anni, da sempre impegnato in iniziative per la legalità attraverso il suo blog, in aperto contrasto con i clan camorristici che stanno sistematicamente occupando il territorio della provincia di Latina (la sua ultima battaglia era contro la diffusione del gioco d’azzardo gestito dalla criminalità organizzata), aveva subito un pestaggio nel 2009, poi numerose minacce, fino al 29 maggio, quando un killer è entrato nel suo studio, in pieno giorno, freddandolo con un solo colpo alla testa. Mi ha fatto riflettere una frase detta dal mio interlocutore con una punta di rassegnato cinismo: “se l’è cercata!”. Proprio vero. Se l’è cercata. Perché chi ha un po’ di coraggio se la cerca. Perché chi ha il coraggio di denunciare il malaffare, di dire le cose che non vanno, se la cerca. E dietro la facciata della compassione, del comune cordoglio e degli occhiali scuri per non far vedere che non si piange e delle frasi di circostanza atte a manifestare un dispiacere che non c’è, la cruda realtà è che molti pensano che chi si comporta così se la cerca. E, quindi, molto meglio far finta di niente, tacere. Perché, alla fine, tutti “teniamo famiglia”. Meno male che c’è qualcuno che se la cerca! Meno male che c’è qualcuno che è disposto a pagare di persona! Meno male che il mondo non è fatto solo...
Le mamme e le nonne che collaborano per la realizzazione del Grest hanno avuto una grande idea. Visto il tema “Tutti a tavola” hanno proposto di suggerire ricette anti spreco, per riutilizzare gli avanzi di cibo. Hanno approntato l’apposito volantino e con le ricette che perverranno sarà anche preparato un apposito ricettario. Due giorni fa, nella buca delle lettere ho trovato uno di questi volantini, poco accuratamente ripiegato. Incuriosito e desideroso di leggere la prima ricetta pervenuta, mi sono accorto che l’unica aggiunta al volantino era una scritta lapidaria: “Don Roberto doveva farsi i cavoli suoi”, ovviamente senza firma. Non è mai stato mio costume fare pubblicità ai vili che non hanno il coraggio di firmarsi. E ho sempre nutrito nei loro confronti un senso di profonda pietà cristiana perché deve proprio essere brutto avere come caratteristica la vigliaccheria, quasi sempre unita alla cattiveria. Ma questa volta faccio uno strappo alla regola che mi sono imposto, anche per il simpaticissimo e forse voluto accostamento dei cavoli alle ricette. Non so a che cosa l’anonimo/a scrivente si riferisca. Il verbo al passato potrebbe significare tante cose, dai fatti dolorosi del 2012 alle prese di posizione del 2014 fino ai contenuti delle più recenti “riflessioni” apparse su questo sito. Ma questa frase mi ha fatto pensare al concetto di “cavoli propri”. Purtroppo mi sembra che stia dilagando l’idea che bisogna solo guardare il proprio interesse....
Da ormai due anni esiste il sito della Parrocchia di san Giuliano. E da due anni, ogni settimana, propongo una riflessione sullo stile di quanto enunciato nella prima della serie. Non pretendo che tutti si ricordino che cosa avevo scritto e nemmeno che i neofiti del nostro sito vadano a recuperare quel reperto archeologico. Mi sembra utile ribadire, però, alcuni concetti che guidano questo mio scrivere settimanalmente, soprattutto perché ultimamente, con disappunto di molti e gaudio di pochi, gli interventi qui pubblicati vengono ripresi da altri siti e dalla carta stampata. Le riflessioni del sottoscritto sono quelle di un uomo comune, di un cristiano comune, di un prete comune, mediamente colto e mediamente ignorante, mediamente ingenuo e mediamente furbo, mediamente generoso e mediamente egoista. Uno come gli altri, quindi, senza pretese di verità assoluta, senza la pretesa di parlare a nome della Chiesa, come fanno altri, senza la pretesa che tutti condividano le opinioni qui espresse. Queste riflessioni vogliono solo essere un invito, a me stesso prima di tutto, e poi anche agli altri, anche a chi non le condivide, a pensare, a riflettere, appunto. E non solo sul sesso degli angeli o sui grandi temi che da sempre sono oggetto di interesse dei pensatori. Mi interessano di più i temi piccoli, vicini a noi, che ci riguardano direttamente nel nostro vivere quotidiano. Anche perché è su queste cose piccole e concrete che spesso casca l’asino e si vede che cosa davvero...
Forse esagero e tiro conclusioni indebite pensando che dietro un certo tipo di panchina stia una certa concezione di uomo, però la riflessione mi è venuta quando ho visto sul giornale la foto del progetto di riqualificazione di piazza Volta. Mi hanno colpito, appunto, le panchine. Molto eleganti, con quello stile minimalista, ma tutte senza la possibilità di appoggiare la schiena. “E le persone anziane come faranno?”, mi sono detto. E a questo punto mi è proprio venuto da pensare a quale tipo di uomo abbia in mente chi ha elaborato il progetto. Senza dubbio un uomo che non ha problemi fisici, che non ha bisogno di riposare il corpo stanco, che non ha bisogno di concedersi un momento prolungato di relax. Panchine solo per persone efficienti, giovani, turisti che interrompono per un attimo il loro giro della città e poi via, subito di nuovo in pista. Panchine considerate come i box di un gran premio di formula uno, dove si sosta brevissimamente per un motivo tecnico e non stai certo a parlare di problemi esistenziali con i meccanici. Mi sono chiesto, sicuramente sbagliando, in quale considerazione vengano tenute, nella nostra città, le persone anziane “normali”, quelle che fanno un po’ fatica a camminare, quelle che amano “contarla su” stando comodamente sedute, con la schiena appoggiata (perché a una certa età uno dei piaceri della vita è appoggiare la schiena, altro che le vacanze alle Maldive), quelle che amano leggere il giornale o un libro sedute sulla...
Quando proviamo fastidio? Che cosa e chi ci irrita profondamente? Con chi e per che cosa facciamo fatica a stare, a parlare? Siamo onesti: ci sono persone che ci danno sui nervi. A volte perché sono proprio antipatiche (tipo quelli che vogliono sempre aver ragione loro!), altre volte perché la loro stessa presenza evoca in noi brutti ricordi, altre volte ancora perché toccano alcuni nostri nervi scoperti. E quest’ultimo punto è spesso intollerabile per noi. Infatti, lungi dal fare qualche considerazione sull’opportunità di un nostro cambiamento, preferiamo trovare in chi mette a nudo le nostre magagne le debolezze, i difetti, le fragilità. E, se non ne troviamo, siamo persino capaci di arrivare alla denigrazione gratuita o addirittura alla calunnia. Magari non esplicita, che non si sa mai, poi ci querelano, bensì sotto forma di battuta, di “ho sentito dire dal tale”. E’, questo, il sistema che i regimi di potere (non quelli dittatoriali, che preferiscono l’eliminazione fisica dell’avversario) utilizzano per mettere a tacere dissensi e critiche. Ma in fondo ogni persona umana è portata a fare questo. A tantissime persone, forse a tutte, dà fastidio essere criticate. Solo con una grande umiltà, intelligenza e tanto allenamento è possibile accogliere con gioia una critica, vedendola come un’opportunità per crescere, per essere migliori, per essere un po’ di più come Dio ci vuole. L’orgoglio è spesso un padrone tirannico ed è davvero molto più facile...
Quando si gestiscono soldi di tutti, cioè provenienti da tassazione o da offerte volontarie o da beni ricevuti in eredità per opere di solidarietà, credo che sia doveroso rendicontare. La trasparenza è fondamentale per creare e mantenere un rapporto di fiducia e per dare la possibilità a tutti di verificare come i soldi vengono spesi. E anche se non sussistono obblighi di legge esistono però obblighi morali. Posto, ovviamente, che non si abbia nulla da nascondere. D’altronde pretendiamo, giustamente, che i politici diano conto delle loro spese e delle loro entrate e ci scandalizziamo, giustamente, quando si scoprono le magagne, ma gli enti ecclesiastici possono esimersi dalla responsabilità, soprattutto in questo momento storico, di pubblicare i proprii bilanci? Non è il caso di dare, anche in questo, il buon esempio? Non fa parte, anche questo, della funzione profetica della Chiesa? Chi ha dato la propria offerta, chi ha lasciato in eredità soldi o case, chi ha donato un bene qualsiasi l’ha fatto con la convinzione che esso venga usato per quello che concerne la vita della comunità, che, per certi aspetti, assomiglia molto ad una famiglia. Questa premessa per dare un annuncio che ritengo molto importante. Dopo averne discusso in Consiglio pastorale, che si è pronunciato all’unanimità, si è deciso di pubblicare il bilancio della nostra Parrocchia (vedi pagina del Consiglio per gli affari economici). Per i motivi detti prima e per ricevere anche suggerimenti,...